Lo stato dell'arte - vorremmo davvero vivere centinaia di anni?
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Lo stato dell'arte - vorremmo davvero vivere centinaia di anni?
21/01/2016 - L’aspettativa di vita è cresciuta grazie ai progressi della medicina e questo viene generalmente visto come un grande progresso dell’umanità. Tuttavia allungare la vita in sé non è necessariamente un valore, e ci si può legittimamente domandare se la vita non abbia un proprio arco naturale in cui si compiono certe esperienze, oltre il quale un tempo ulteriore risulta ridondante.
La morte è un male di per sé o è un male soltanto in certi casi particolari, soprattutto se prematura o violenta? Non sarebbe più saggio accettare che la morte è una parte costitutiva ed essenziale dell’esistenza, anziché vivere con la finalità di procrastinare il più possibile il momento della morte?
A Lo stato dell’arte, il programma di Rai Cultura in onda giovedì 21 gennaio su Rai5, Maurizio Ferraris ne parla con Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità, e Davide Sisto, tanatologo e docente di filosofia.
Stefano Vella non ha dubbi: certo che vorremmo vivere centinaia di anni. Questo perché esiste la paura di andare in un posto sconosciuto, unita alla consapevolezza di non avere raggiunto la felicità o la realizzazione sulla Terra. L’uomo per natura desidera e dal desiderio, che è sempre volto al futuro, deriva l'attenzione morbosa alla medicina, che molti pensano sia in grado di allungare la vita oltre l’immaginabile. In realtà la medicina non ha l’obiettivo di far vivere per sempre, ma di garantire buona salute il più a lungo possibile. Oltre il desiderio non ci rimane che accettare che la morte è parte della vita. Non accettabile, invece, è che sussistano intollerabili diseguaglianze in termini di accesso alla salute e a una vita dignitosa
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Secondo Davide Sisto, invece, allungare la vita in sé non è necessariamente un valore. La morte è parte essenziale della vita, e una delle conseguenze di pensare la vita e la morte come separate è quella di attribuire un valore morale alla morte: la morte è ciò che interrompe la vita intesa come attività e produttività infinite. E diventa un male morale che rende infelice la nostra esistenza. Sulla base di ciò, l’uomo – con gli strumenti medici e tecnologici a disposizione – sembra avere l’obbligo di sconfiggerla. E diventa nulla più che una macchina da aggiustare. E’ invece proprio la morte a definire la biografia del singolo individuo, donandole completezza, allo stesso modo in cui la calata del sipario definisce lo spettacolo teatrale. Senza la morte perderebbero di significato la memoria, il ricordo, la biografia stessa.(comunicato Rai)
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