Slang-That's sapore: inchiesta sul falso cibo nell'anno dell'Expo
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Slang-That's sapore: inchiesta sul falso cibo nell'anno dell'Expo
23/10/2015 - Può una mozzarella diventare un bastone essiccato e tagliato a fette, pronto a essere usato dai frettolosi consumatori americani? Un condimento per pasta può essere ancora chiamato tale se contiene più spezie che pomodoro? Quanto contano gli ingredienti italiani per preparare un piatto ispirato alla nostra tradizione? Parte da questi interrogativi Slang-That’Sapore, il programma condotto da Gerardo Greco e realizzato da Rai Expo, che andrà in onda in due puntate, il 24 e il 31 ottobre alle su Rai3.
Un’inchiesta, con un linguaggio da road movie, che si sviluppa tra New York e Woodstock, nel cuore della campagna americana, alla ricerca degli alimenti italiani più copiati e alla scoperta delle aziende che tentano di imitare quei prodotti che sono da sempre la nostra bandiera. Ma ancora per quanto?
A leggere i numeri, il mercato del falso cibo italiano è in continua espansione: un giro d’affari da 54 miliardi di euro, che costa al nostro Paese un punto e mezzo di Pil. Per intenderci, due prodotti su tre commercializzati all’estero si richiamano al nostro Paese.
E di fake sono esperti soprattutto cuochi e chef italiani che vivono e lavorano nella Grande Mela e che ogni giorno, nei loro ristoranti, tentano di rimanere fedeli alla cucina nostrana cercando prodotti di qualità. Ma che risultati avrebbero se dovessero cimentarsi in ricette italiane utilizzando esclusivamente ingredienti locali? Per scoprirlo That’Sapore ha messo alla prova tre di loro, facendoli sfidare in una gara basata sulla preparazione di un tipico menù italiano, ma senza avere a disposizione nessun prodotto del Belpaese. Simbolicamente ambientata a Woodstock, patria di una delle più celebri rivoluzioni culturali della storia, la sfida si configura come una vera e propria ribellione al cibo falso. Ed è così che gara e inchiesta, in una narrazione parallela, giungono allo stessa conclusione: l’Italia è seduta su una miniera d’oro. Una ricchezza unica e difficile – se non impossibile – da imitare. E che, nonostante questo, è copiata. E male.(comunicato Rai)
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